Danny Veras è un talentuoso cantante/chitarrista nato in Brasile e trasferitosi a Barcellona, che negli anni ha stretto un patto di stretta collaborazione niente meno che con l'iconico Paul Sabu. Peccato ci sia ancora gente che, quando si parla del genere in questione, ricorra a stereotipi che risultavano insopportabili già negli anni 80, figuriamoci oggi. Robe tipo "canzoni da ascoltare col finestrino abbassato", oppure "dischi da gustare in dolce compagnia". Mi chiedo francamente come sia possibile inneggiare ad evoluzioni musicali, quando anche il linguaggio utilizzato risulta vecchio di 50 anni: assurdo! D'altronde è arduo scrivere di qualcosa che non si conosce, se non per vulgata popolare. "Can't Stop The Rock" è il terzo lavoro solista di Veras, dodici pezzi che guardano agli Eighties senza il benché minimo indugio stilistico. Ricordo ancora di aver scoperto Danny con il videoclip di "Hellrider", e non nascondo che rimasi di stucco vedendo il nome del suddetto Sabu tra i credits: per la serie, quando l'invadente Rete è utile.
Fin dalla colorata e "tamarra" (in senso buono) copertina, sai già cosa aspettarti, ma come sempre è il songwriting a fare la differenza all'interno di un settore artistico in cui il meglio è indiscutibilmente legato al passato. Paul Sabu è accreditato non solo come co-compositore, ma anche in veste di chitarrista ritmico/produttore, esattamente come per il precedente "Never Give Up"; la band è poi completata da Linkan Anderson (sei corde solista), J.C. Vazz (tastiere), Barry Sparks (basso) e Kent Blankenship (batteria). Fin dai primi momenti dell'album, affidati a "Rock Or Die", si possono udire palesi riferimenti ai synth vintage dei The Who di "Won't Get Fooled Again": se si tratti di un voluto omaggio oppure di una felice coincidenza, è una cosa riservata solo a Veras e Sabu, ma il pezzo funziona che è una meraviglia! La title-track brucia di energia AOR, e la voce così melodica e calibrata di Danny si presta perfettamente alla celebrazione temporale di un'epoca che esiste solo nella testa di chi l'ha vissuta. Al di là delle frasi fatte di certi "fenomeni" (quelli dei finestrini e delle dolci compagnie di cui sopra). La power ballad "I Want You Forever" sarebbe stata una sicura hit se fosse uscita sotto altri chiari di luna, così come "Keep The Faith" si propone quale studiato incrocio tra Tesla, Firehouse e primi House Of Lords. Se l'intensità heavy di "Devil's Garden" rimanda al songbook di Ronnie James Dio, "Come Back To Me" mostra chiaramente l'inconfondibile DNA di Mister Sabu. Da segnalare l'intelligente mid-tempo di "It's Crazy", ma anche la semplicità rock di "Rich Woman", con il suo charme stile Cheap Trick. "Can't Stop The Rock" è un album volutamente retro nella sua migliore accezione, che negli anni 80 avrebbe avuto molte chance di successo mainstream. Tuttavia mi risulta che, anche oggi, ci siano in giro molti appassionati di quella golden era. Veras merita una possibilità, perché assieme a Sabu è riuscito a creare un prodotto di alta qualità: emozionale, potente ed assai godibile. Pretendere di più è difficile: ora alzate pure quei finestrini ed accendete l'aria condizionata. A meno che non preferiate la pace in Ucraina.
ALESSANDRO ARIATTI
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