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JOEY TEMPEST & THOMAS VIKSTROM: GLI INSOLITI ACUSTICI


Dal 1993 al 1995, un destino comune unisce due delle più importanti voci uscite dalla Svezia hard'n'heavy. Joey Tempest non ha certo bisogno di presentazioni, essendo l'ugola di uno dei gruppi più rappresentativi degli 80's (Europe). Discorso senza dubbio differente, almeno a livello di popolarità, per Thomas Vikström, dal quale iniziamo ad imbastire questa curiosa disamina artistica "parallela". Il primo gruppo professionale del biondo vocalist, nato in una famiglia di artisti (il padre fu cantante d'opera), si chiama Talk Of The Town: "Eravamo come i Backstreet Boys del melodic metal, ed io scrissi la hit 'Free Like An Eagle' a soli 19 anni. Fu come vincere la lotteria, perché da lì in poi capii che la musica sarebbe stata la mia vita". Dopo i pruriti adolescenziali con i TOTT, Vikström viene notato dai connazionali Candlemass, band simbolo del doom mondiale, in rotta col carismatico frontman Messiah Marcolin. È la classica offerta che non si può rifiutare, perché il nome è di quelli importanti sul serio. Il disco registrato assieme al gruppo ("Chapter VI"), pur ottimo nei contenuti, non riscuote il successo sperato. I fans puristi mal digeriscono il cambio di rotta verso suoni più epici e melodici, ed allo stesso tempo non riescono a dimenticare il vibrato solenne di Marcolin, autentico "martello del destino". Il matrimonio tra Candlemass e Vikström dura pochissimo, tanto che l'anno successivo (1993) la casa discografica di quest'ultimo bussa alla porta per un album solista. Trattasi della Virgin svedese, non propriamente di una label qualunque. Giusto per ribadire la reale musa ispirativa di Thomas, "If I Could Fly" vede il nostro immergersi "anema e core" in un rock FM di impatto immediato, accompagnato da cori ad alto tasso di contagiosità, eppure supportati da un suono che punta più alle radici. La chitarra acustica, allegramente imbracciata nella copertina su uno scoglio del Mar Baltico, diventa quasi più importante della elettrica, e le tastiere profumano tanto di vintage più che di synth. Credetemi, non esagero se affermo che siamo davanti ad un piccolo capolavoro del settore, composto da brani indimenticabili quali la title-track, "Love And Emotion", ed "I Still Care For You". L'apogeo viene raggiunto da "King For A Day", una gioiosa ballad dal testo meraviglioso che sembra cantato da un (allora) giovane singer con la saggezza di un vegliardo. Le lyrics del pezzo parlano di estati passate, di sogni sempre a portata di mano: "Noi eravamo i Talk Of The Town...eravamo selvaggi, giovani e liberi...non potevamo perdere perché noi vincevamo sempre...quando eravamo Re per un giorno". Tra i tanti ospiti del disco, da segnalare Jeff Scott Soto alle backing vocals ed il compianto Marcel Jacob al basso, ma "If I Could Fly" ha giustamente raggiunto nei decenni lo status di opera per veri intenditori del genere, quelli a cui piace spingersi un pò più in là dell'universalmente conosciuto. Vikström ha raggiunto fama e fortuna successivamente (e meritatamente!), prima con i Brazen Abbot ma soprattutto con i Therion, "ensemble of shadows" dove ha dimostrato una duttilità invidiabile, cimentandosi in tutt'altre frequenze. Eppure io rimango convinto che la sua autentica "essenza" sia racchiusa tra queste 13 perle. 



Quando Joey Tempest pubblica il suo primo lavoro solista, il successo di "The Final Countdown" è uno sbiadito ricordo. Una gloriosa Polaroid istantanea quanto l'airplay che ottennero canzone ed album. Poco importa se gli Europe poi pubblicarono altri due album infinitamente superiori tra il 1988 ed il 1991 ("Out Of This World" e "Prisoners In Paradise"): quello è un dettaglio per i veri appassionati, la massa li ha ampiamente dimenticati ed ormai rinnegati. L'ondata grunge/alternative rade al suolo le carriere di band che, solo fino ad un lustro prima, dominavano le vendite e riempivano le arene: e non siamo ancora alla rivalutazione postuma, al ripescaggio degli 80's tanto in voga negli ultimi anni. Ci troviamo piuttosto al momento dell'azzeramento della memoria, alla negazione storica: chi ha vissuto quel periodo, sa benissimo che non sto raccontando baggianate. Da superstite degli "anni da bere", Joey si trova davanti ad un bivio. Ritirarsi a vita privata finché i marosi della tempesta non si sono calmati (Coverdale, ad esempio attese il 1997 per il rientro), oppure far parlare la musica, qualsiasi sia la congiuntura temporale. Non voglio dire che Tempest abbia preso ispirazione dal succitato connazionale Thomas Vikström, ma evidentemente qualcosa girava nell'aria nella Svezia di quegli anni. L'allora ex frontman degli Europe dice chiaro e tondo: "Il mio nuovo disco solista si ispira ai cantautori di Nashville". Detto, fatto: anche se la componente easy listening non può non prendere il sopravvento, per via di una voce talmente caratterizzata e caratterizzante, "A Place To Call Home" è un godurioso melting pot tra cantautorato e melodie da classifica. Quella di dieci anni, prima, visto che siamo nel 1995. Dodici tracce semplicemente meravigliose, che alzano l'asticella della bellezza nell'iniziale e ritmata "We Come Alive" (magistrale il giro armonico della chitarra acustica), nella soffusa "Under The Influence", con i suoi pregiati tocchi di pianoforte, e nella soul oriented "Lord Of The Manor", grazie a quella incantevole sinergia tra voce ed organo. Su "Always A Friend Of Mine" compaiono dei fiati discreti a rafforzare la ritmica, mentre la title-track potrebbe rappresentare la sintesi perfetta delle tematiche contenute sul CD. L'hard rock blues "Right To Respect" vede la partecipazione di John Norum (vecchio compagno negli Europe), e rappresenta il primo tentativo di riavvicinamento tra i due dopo lo split successivo alla pubblicazione di "The Final Countdown". La conclusiva "For My Country" suggella intimismo ed emozionalità quali chiavi di lettura definitive per entrare nell'ottica di un prodotto così differente dal passato di Tempest. "A Place To Call Home" non rimarrà episodio isolato, perchè Joey insisterà sulla medesima vena creativa con "Azalea Place" nel 1997, e con l'omonimo terzo album del 2002. Ma sono ormai tempi di reunion, gli 80's non vengono più visti come un demone da esorcizzare ma come un punto di riferimento a cui guardare. "Start From The Dark" (2024) segna infatti l'inizio dell'era Europe 2.0, tuttora lungi dal vedere la parola fine all'orizzonte.

ALESSANDRO ARIATTI 

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