House Of Spirits nascono sostanzialmente dalle ceneri dei thrash-progsters Jester's March, nel frattempo ovviamente scioltisi non per mancanza di ispirazione ma per il totale disinteresse di un pubblico attirato da ben altre sonorità. Nel progetto, messo in piedi dal vocalist Olaf Bilic, dal bassista Martin Hirsch e dal chitarrista Uwe Baltrusch, viene coinvolto anche il drummer Jorg Michael, che nel frattempo sta iniziando a prendere il volo con il suo coinvolgimento nei rinati Grave Digger (fresco di stampa il clamoroso come-back "The Reaper") e nei sempiterni Running Wild. "Turn Of The Tide" vede la luce nel 1994, anno in cui i Queensryche pubblicano l'incubo ad occhi aperti "Promised Land", a ben quattro anni di distanza da "Empire". Cito la band di Geoff Tate non a caso, perché House Of Spirits fanno legittimamente parte dell'affollato coro di tributi nei confronti della grande band di Seattle. A differenza del "martello" imposto nei succitati Grave Digger & Running Wild, anche la batteria di Jorg Michael cerca, per quanto possibile, di ricalcare il modus operandi di Scott Rockenfield. Diciamo che la fase di scrittura da parte di Bilic e soci inizia e finisce dalle parti di "Operation Mindcrime", tanto che canzoni quali la title-track o "Keep Me From Dreaming" suonano quasi come riuscite rielaborazioni delle varie "I Don't Believe In Love" ed "Eyes Of A Stranger".
"In My Heart" è il classico "ballatone" che fa molto 80's style, anche se l'esercizio viene risolto in stile superlativo, tra melodie accattivanti ed arrangiamenti "sui generis". Pure "Wasteland" potrebbe essere considerato un highlight della situazione, con quella chitarra pesantemente groovy che si sdogana per un attimo dall'imperante modello Queensryche. Se "The Eye Of The Storm" unisce suoni classy-chic a dinamiche progressive, "In A Daze" ribadisce la predisposizione per gli "slow", nonostante una corazza più heavy rispetto alla succitata "In My Heart". Forse si potevano evitare un paio di brani superflui, tuttavia "Turn Of The Tide" è ancora oggi un ottimo esempio di prog metal targato metà anni 90, con tutti i suoi pregi e relativi difetti. Inutile dire che, dopo un secondo album altrettanto valido dal titolo "Psychosphere" (1999), sulla band calerà il definitivo silenzio. Eroi silenziosi.
Disco consumato. Un piccolo gioiellino, non solo tedesco. 🤘🏻🤘🏻🤘🏻🤘🏻
RispondiEliminaCiao Dom. Si, sono d'accordo: un disco da riscoprire. Grazie per lettura e contributo.
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