Mentre il black metal inizia a spargere i suoi nefasti semi in una Norvegia improvvisamente scopertasi blasfema, sotto la propria superficie di noiosa normalità nordica, qualcosa inizia a strisciare anche nell'underground del nostro paese. Non nuova alla fascinazione oscura già negli anni '80 con l'avvento di Necrodeath, Mortuary Draper, Bulldozer e Death SS, l'Italia "sotterranea" si rinnova nell'immagine e nel suono con un gruppo che sembra letteralmente uscito dalle nebbie piemontesi. Ricordo quando vidi per la prima volta la copertina di "The Call Of The Wood", con quei palesi richiami ad innominabili riti pagani, celebrati nella solitudine della natura più incontaminata. Manca la neve, d'accordo, ma sostanzialmente si tratta di un'ambientazione/ispirazione non molto dissimile dalle orgogliose "bestie" scandinave. E non si può nemmeno parlare di spirito emulativo perché gli Opera IX debuttano nel 1995, praticamente in contemporanea con Emperor, Immortal e Mayhem. Stessa cosa dicasi per i Cradle Of Filth. Non cito questi ultimi a caso, dato che "The Call Of The Wood" benedice brutalità e romanticismo in un'unione che, per l'epoca di cui stiamo parlando, non esito a definire innovativa. Il gruppo può infatti contare su un tastierista/pianista fisso dall'enigmatico nome Silent Bard, che definisce la parte centrale della monster "Alone In The Dark": 18 minuti abbondanti di musica estrema e progressive, con inserti folkeggianti e drammaturgici, ben interpretati dalla voce dell'iconica Cadaveria. Stesso discorso per l'evocativa title-track e la tetra "Sepulcro", mentre "El Azif" risente di atmosfere dal gusto orientale ed arabeggiante. L'assalto all'arma "nera" è comunque frontale ("Esteban's Promise"), tra riff di scuola Bathory e basi ritmiche spesso anfetaminiche, anche se la produzione, non certamente ottimale, mette quasi più in risalto le keyboards rispetto alla chitarra di Ossian. Alla batteria troviamo Flegias che, di lì a pochi anni, sarebbe diventato frontman dei Necrodeath 2.0 su "Mater Of All Evil". Quando si parla di "black sinfonico" bisognerebbe sempre ricordare che, oltre ai grandi nomi esteri (Dimmu Borgir, Emperor, Cradle Of Filth ecc.), anche l'Italia ha saputo dare il proprio storico "imprimatur". Proprio con gli Opera IX, di cui "The Call Of The Wood" non è forse la miglior testimonianza da studio ("Sacro Culto" e "The Black Opera" gli sono probabilmente superiori), ma certamente quella "originale". Il bosco ci richiama; anche oggi, a distanza di 30 anni.
ALESSANDRO ARIATTI
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