"Chosen", ovvero il prescelto. E che Glenn Hughes sia un eletto, ci sono pochi dubbi. Dai Deep Purple ad una sporadica apparizione nei Black Sabbath, dai suoi Trapeze ai Black Country Communion, ultimo prototipo di supergruppo 2.0. Glenn ha una voce talmente caratterizzante, una personalità artistica così debordante, da trasformare a propria immagine e somiglianza ogni cosa che tocca. Persino i The Dead Daisies, band dall'identità ben precisa, col suo ingresso ne assorbono le peculiarità funky/soul, tanto da rendere "Holy Ground" e "Radiance" quasi due album solisti di Hughes. Forse entrambe le parti se ne accorgono e, per un mutuo quieto vivere, decidono di separarsi per il superiore bene comune. Glenn si concentra così sul nuovo lavoro dei rinati Black Country Communion (lo splendido "V", che abbiamo trattato a dovere lo scorso anno sul blog https://dejavurockmetal.blogspot.com/2024/07/black-country-communion-v-2024.html?m=1), viatico ideale per una prova solista che mancava dai tempi dell'ottimo "Resonate" del 2016. Nove anni in cui il bassista/vocalist inglese è dovuto un pò "venire a patti" con le diverse situazioni stilistiche, pur facendo prevalere sempre, come si diceva prima, la propria impronta originale. "Chosen" è un signor disco di rock duro pesantemente improntato sulla ritmica, come da tradizione del personaggio in questione, ma che bilancia piuttosto bene l'anima hard e quella da istrione del groove. Anche i vocalizzi di Hughes, certamente straordinari ma a volte eccessivamente spettacolarizzanti, in questo caso si limitano ad espletare il compito preposto, senza cercare per forza l'impatto "ad effetto" sull'ascoltatore. I brani risultano quasi tutti di spessore, a partire dalla lineare title-track fino alla variegata opener "Voice In My Head", favolosa nella sua straripante cifra di espressività emozionale. "Come And Go" è invece la tipica ballad resa indimenticabile dalla timbrica di Glenn, in un contesto dove si è cercato di tenere a livello di guardia la pesantezza del sound ("The Lost Parade" e "In The Golden"). Sono sincero, se non fosse per l'inconfondibile ugola dell'ex Deep Purple, diverse tracce di "Chosen" potrebbero appartenere tranquillamente ad un album dei Black Label Society, con tutto ciò che ne consegue: comprese le implicazioni sulfuree alla Sabbath. Come si diceva all'inizio, l'esplosività creativa ed esecutiva di Hughes risiede nel suo tasso di originalità, e ciò vale anche nel 2025, a 74 anni suonati. Si dice che "Chosen" possa essere il suo ultimo "urlo" da solista: se così fosse, non ci sarebbe assolutamente nulla da recriminare. Anzi.
ALESSANDRO ARIATTI
Se gli Iron Maiden sono la band heavy metal più unanimamente amata nell'universo, altrettanto unanime (o quasi) sarà la risposta alla domanda su quale sia il loro album peggiore. Per la solita storia "vox populi, vox dei" si concorderà a stragrande maggioranza su un titolo: "Virtual XI". Il fatto è che questo è un blog, neologismo di diario personale; e caso vuole che, al sottoscritto, questo album è sempre piaciuto un sacco. Ma proprio tanto! Reduci dal discusso "The X Factor", oggi sicuramente rivalutato da molti eppure all'epoca schifato da tutti, Steve Harris e soci confermano ovviamente Blaze Bayley, lasciando appositamente in secondo piano la vena doom-prog del 1995. Due anni e mezzo dopo, tempo di mondiali di football, ed una realtà che inizia ad entrare con tutte le scarpe nella "web zone": col loro consueto talento visionario, gli Iron Maiden prendono tre piccioni con una fava. 1) Il Virtual sta ovviamente a rappresentare la perc...

Commenti
Posta un commento