Devo essere sincero per onestà intellettuale: ho "mollato" i Vicious Rumors da una trentina d'anni, dopo quel "World Of Mouth" che rappresentò l'ultima testimonianza in studio del compianto singer Carl Albert. Poi li ho seguiti, certo, anche per questioni "professionali" (virgolette sempre d'obbligo), ma senza aspettarmi chissà che cosa. Come quando Geoff Thorpe decise improvvidamente di occuparsi delle parti vocali, sull'orribile "Something Burning" (1996). Se non vado errato, la band ha cambiato la bellezza di otto cantanti in nove dischi, tanto per ribadire (qualora ve ne fosse bisogno) l'importanza del suddetto Albert nell'economia stilistica della band. Non è quindi una sorpresa che "The Devil's Asylum" registri l'ennesimo giro di valzer dietro il microfono, con l'ingresso di Chalice (alias Brian Betterton) in sostituzione del talentuoso Ronny Munroe. Oltre al consueto cambio di frontman, occorre rimarcare l'aggiunta del nuovo chitarrista Denver Cooper, abile nell'entrare immediatamente in "modalità Vicious Rumors", ovvero un'entità artistica con 14 prove discografiche sul groppone, spalmate in 45 anni di onorata attività. Non credo sia un'automatismo così scontato, sinceramente. Senza avere la pretesa di ricevere esperienze non più ripetibili (il profetico "Digital Dictator" o "Welcome To The Ball"), il nuovo "The Devil's Asylum" svolge un compito forse prevedibile eppure confortante. In primis perché trattasi sicuramente di un lavoro ben più efficace del precedente "Celebration Day"; secondo perché non ascoltavo canzoni così ficcanti da parte dei Rumors da troppo tempo. Come da miglior tradizione, Thorpe e soci riescono infatti ad unire furore elettrico ed atmosfere minacciosamente oscure con l'abilità che solo "gli americani" (in generale) possiedono. Non si tratta di un capolavoro, e lo stesso Chalice non brilla per carisma, nonostante un tono che cerca di distinguersi tra partiture più aggressive ed altre maggiormente pulite. Detto ciò, "The Devil's Asylum" si lascia ascoltare dall'inizio alla fine senza mai cedere in tensione né in intensità: sembra poco, ma non lo è affatto.
ALESSANDRO ARIATTI
Se gli Iron Maiden sono la band heavy metal più unanimamente amata nell'universo, altrettanto unanime (o quasi) sarà la risposta alla domanda su quale sia il loro album peggiore. Per la solita storia "vox populi, vox dei" si concorderà a stragrande maggioranza su un titolo: "Virtual XI". Il fatto è che questo è un blog, neologismo di diario personale; e caso vuole che, al sottoscritto, questo album è sempre piaciuto un sacco. Ma proprio tanto! Reduci dal discusso "The X Factor", oggi sicuramente rivalutato da molti eppure all'epoca schifato da tutti, Steve Harris e soci confermano ovviamente Blaze Bayley, lasciando appositamente in secondo piano la vena doom-prog del 1995. Due anni e mezzo dopo, tempo di mondiali di football, ed una realtà che inizia ad entrare con tutte le scarpe nella "web zone": col loro consueto talento visionario, gli Iron Maiden prendono tre piccioni con una fava. 1) Il Virtual sta ovviamente a rappresentare la perc...

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