Se esiste un genere che, al metallaro medio degli 80’s, sta prosaicamente sul culo, quello è sicuramente il grunge con tutti gli annessi e connessi. Ben più della dance, ben più della new wave o del synth pop, con i quali si era instaurata una convivenza tutto sommato pacifica e/o alternativa. Il famoso/famigerato Seattle sound si propone infatti come “sostituzione demografica”, oltre che stilistica, rispetto all’hard’n’heavy comunemente conosciuto fino a qualche primavera precedente. Anche solo il rimpiazzo dell’uniforme denim & leather, con divise d’ordinanza da straccioni trasandati, veniva considerato quale esercizio di “lesa maestà”, o semplicemente appropriazione indebita. E lo scrive uno che, del look, se n’è sempre sbattuto bellamente i coglioni: cuoio, capelli lunghi e magliette da funerale incluse. Il giochetto funziona più negli States che in Europa, sinceramente: perché se è vero che i Nirvana conquistano le vette delle charts anche nel vecchio continente, il merito non è sicuramente del pubblico HM, quanto piuttosto di una inclusività mainstream che travalica abbondantemente i settori. Come sono andate le cose, purtroppo lo sappiamo: Kurt Cobain prende un fucile e si fa saltare la testa, ma della scena Eighties restano comunque macerie fumanti. Gli Iron Maiden sono in crisi nera, i Judas Priest ci mettono sette anni per dare un seguito a “Painkiller”, gli AC/DC pubblicano un album solo tra il 1990 ed il 1999. Restano le ex seconde linee, che vedono uno spiraglio per spintonare e proporsi come “alternativa della restaurazione”, con Running Wild, Grave Digger, Rage ed i rinati Helloween a capeggiare la resistenza. Nel frattempo, il batterista dei Nirvana Dave Grohl trova soddisfacente sfogo nella costituzione dei Foo Fighters, una band che è ormai diventata un punto di riferimento del panorama rock/hard rock: il nostro si cimenta con doti sorprendenti nel canto, e questo penso lo si possa affermare senza timore di smentite. Grohl fa ormai parte del “gotha” nel 2003, quando giunge inaspettata la notizia che starebbe per uscire un suo album dedicato alla scena metal ottantiana, con tanto di ospitate illustri da parte di alcuni delle sue più rispettate “icone”. Addirittura il disco è previsto in uscita per Southern Lord, etichetta che significa automaticamente Sunn O))), ancora ben lontani dall’accogliere sotto la propria ala “l’intellighenzia” barbuta e con la puzza sotto il naso. Praticamente abbiamo una star che si accasa presso la label meno patinata del mondo, quella per cui un riverbero distorto ed il sussurro di un feedback diventano religione, un ascolto trascendentale quasi da “setta”. Oggi che le barriere sono cadute, a causa della logica "all in" imposta dalle varie piattaforme streaming, potrebbe sembrare una minchiatina di poco conto. Vi assicuro invece che, nel 2004, era una notizia, come dicono quelli bravi, "mind blowing"!
Intendiamoci, la cosa viene vista con sospetto e malcelato fastidio pure dai "grungettoni", costretti ad ingoiare il boccone amaro. Uno dei loro eroi non solo riabilita quel movimento che aveva contribuito a distruggere (dall'interno?), ma ne resuscita le peculiarità. Niente My Bloody Valentine, Sonic Youth, Pavement e relativi suoni da fighetti annoiati: un bel rutto in faccia a tutto ciò, e spazio per i vari Lemmy, Cronos, Cavalera, Warrior, Dorrian, Wino e Diamond. Le riviste "barricadere", già ostili (ma non troppo) alle luci della ribalta per Grohl con i suoi Foo Fighters, mandano giù un boccone ancora più amaro. Quella copertina palesemente disegnata dal collega di strumento Away dei Voivod, altro pallino fisso dell'ex drummer dei Nirvana, sembra un drawing uscito dal suo quaderno di disegno di 25 anni prima. Dave cuce addosso ai protagonisti una collezione di brani "su misura", spaziando dal quasi black/thrash primordiale ("Centuries Of Sin" con Cronos) al doom più asfissiante ("Ice Cold Man"/"The Emerald", guest stars rispettivamente Lee Dorrian e Wino), passando per scorie hardcore ("Access Babylon") mescolate al classic metal (la conclusiva "Sweet Dreams", benedetta dalla voce di King Diamond). Ed a proposito di Voivod, tocca a Snake narrare le allucinazioni prog-punk di "Dictosaurus", mentre ad Eric Wagner e Tom Warrior spettano le tenebrose partiture intitolate "My Tortured Soul" e "Big Sky". L'album è veramente buono, a tratti ottimo: "Shake Your Blood" with Lemmy, ad esempio, potrebbe seriamente passare per un Motorhead-classic, così come la "Red War" di Cavalera possiede la magia di Sepultura/Soulfly. "Probot" è una love letter verso il genere autografata Grohl, un contesto artistico a cui non metterà mai più mano; ed è forse la sua unicità che lo rende ancora più affascinante.
ALESSANDRO ARIATTI
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