Non può piovere per sempre, cita la frase di un famoso film. Allo stesso tempo, nel caso dell'immane party "hair" metal della seconda metà degli anni 80, il sole inizia ad offuscarsi per fare spazio al crepuscolo. E ciò non significa l'appropinquarsi dell'ennesima notte brava ed alcolica da parte dei tanti protagonisti, ma l'inizio di una "decadenza" popolare a cui ben pochi sembrano rassegnarsi. Ci sono band che vanno avanti come se nulla fosse (i Poison di "Flesh & Blood" o i Ratt di "Detonator"), ce ne sono altre che invece iniziano a sentire puzza di bruciato. Ben inteso, la "decadenza" a cui si accennava poc'anzi non riguarda affatto la qualità delle uscite di settore, che mantengono generalmente un livello di eccellenza almeno fino al 1992. Riguarda piuttosto una strisciante pressione dei media nei confronti del pubblico, con priorità promozionali dedicate a nuove realtà a discapito di gruppi consolidati e portati su un palmo di mano fino all'altro ieri. I Cinderella arrivano alla realizzazione del terzo album da studio essendosi già, almeno in parte, smarcati dal modello party-metal dell'esordio "Night Songs" (1986). Il secondo lavoro "Long Cold Winter" (1988), oltre ad essere tuttora il successo più significativo del quartetto con le sue tre milioni di copie sparse soltanto in suolo americano, può infatti essere considerato anche un disco di transizione. Tutto ciò nonostante la presenza di "Don't Know What You Got (Til It's Gone)", straordinaria ballad che solo i grandi talenti possono permettersi di comporre.
L'avvicinamento a certe sonorità blues-rock del 33 giri succitato mostra, non solo una coerente crescita artistica, ma anche una camaleontica lungimiranza che, di lì a poco, si sarebbe trasformata in necessità stilistica da parte di molti. I Cinderella, in particolare per merito del leader indiscusso Tom Keifer, impressionano prima Gene Simmons dei Kiss e poi Bon Jovi, tanto che i due li propongono ad alcune major, ottenendo l'attenzione della Polygram. Da lì al contratto discografico il passo è breve, tuttavia nessuno poteva attendersi un riscontro così massiccio come quello di "Night Songs", trainato in vetta alle classifiche da hit irresistibili come "Shake Me", "Nobody's Fool" e "Somebody Save Me".
Con "Long Cold Winter", look e suono del gruppo diventano più seriosi rispetto alla sgargiante irruenza dell'opera prima, ma non è ancora nulla se confrontati alla sobrietà da cowboy di "Heartbreak Station". Spesso si dice (a ragione) di non giudicare mai un prodotto dalla confezione, ma vi assicuro che, appena vidi la copertina dell'album, già iniziai ad immaginarne i contenuti. È il novembre del 1990 quando Tom Keifer, Eric Brittingham, Fred Coury e Jeff La Bar, si svelano in quel dimesso e polveroso artwork. Colori pastello, chiome spray-free, ed una "posa" più dimessa che aggressiva. Ed i pezzi? Ne ricalcano l'impatto visivo. Non che i Cinderella siano diventati improvvisamente i nuovi The Black Crowes, ai tempi sulla rampa di lancio col clamoroso esordio "Shake Your Moneymaker". Tuttavia il "cambio di passo" è evidente. Le tastiere, spesso rappresentate da un pianoforte battente, la slide guitar, addirittura fugaci comparse di fiati, come nel refrain dell'iniziale "The More Things Change": non si può certo dire che quello di "Heartbreak Station" sia lo stesso gruppo di "Night Songs". E nemmeno quello di "Long Cold Winter", ad onor del vero.
Il muro glam/hair metal del passato si sgretola sul riff di "Electric Love", che sibila come un serpente a sonagli nel deserto, irrobustendosi però di nervature hard rock grazie all'epica sceneggiatura western di "Dead Man's Road". La sola "Make Your Own Way" si riallaccia a certe logiche "hot & ready" degli episodi più immediati targati "Long Cold Winter"/"Night Songs". Si iniziano ad intravedere minacciose nubi temporalesche all'orizzonte, infatti "Heartbreak Station" vende un terzo (solo un milione) rispetto al predecessore. Colpa anche di un tour di supporto che viene azzoppato dalla famigerata Guerra del Golfo, ovvero la prima "sliding door" che decreta il passaggio tra la spensieratezza 80's ed il "nuovo mondo". Questi Cinderella sono da considerarsi una brezza che accarezza le strade USA, anticipando l'imminente uragano e relegando i sogni di gloria in un cassetto. Fortunatamente possiamo ancora aprirlo ogni volta che lo desideriamo. Almeno per ora.
Ciao Alessandro, giusto celebrare uno dei migliori gruppi di hard rock americano dell'epoca, che ha realizzato una trilogia di album davvero notevoli, con le sfumature stilistiche che hai ben descritto, al di là di preferenze soggettive. I Cinderella sono andati ben oltre la moda "hair metal" a livello di qualità peculiare nelle composizioni. Infatti hanno prodotto canzoni assolutamente meritevoli di durare nel tempo, come ad esempio la maliosa title-track dell'album che hai rievocato in questa sede.
RispondiEliminaCiao Beppe. Grazie per la lettura ed il commento su un gruppo che, evidentemente, apprezziamo entrambi in ogni sua sfaccettatura. Assolutamente d'accordo sul fatto che molte canzoni dei Cinderella siano meritevoli di durare nel tempo, al di là di quello che fu il "filone" a cui si agganciarono o furono agganciati. Un caro saluto e grazie del contributo.
EliminaAlessandro