Reperire un album power metal cazzuto e non edulcorato, nell'anno di disgrazia 2024, non è impresa semplice. Ci volevano giusto Gus G. ed i suoi Firewind per ricordare a tutti che il genere, in teoria, non dovrebbe essere sacrificato sull'altare del mixer, come succede a certi "campioni" con la plastica al posto del cuoio. Nonostante un'esperienza tutto sommato breve al fianco di Ozzy, il fenomenale chitarrista greco dimostra ancora una volta il motivo per cui fu scelto dal Madman e "gentile" consorte per sostituire l'iconico Zakk Wylde. Un'esperienza a fianco di una leggenda del rock/metal come Osbourne, per quanto breve (si parla comunque di sette anni), non può lasciare "indifferenti": ed infatti il songwriting di "Stand United", a cura di Dennis Ward dei Pink Cream 69, bada cinicamente al sodo. Il funambolico stile di Gus non perde un'oncia del suo fascinoso virtuosismo, tuttavia l'asservimento alla forma-canzone è il vero punto di forza di "Stand United". Come nel singolone "Destiny Is Calling", dove muscoli metal ed hooklines immediate si fondono con entusiasmo; oppure nell'apripista "Salvation Day", che mette subito in chiaro il mood stilistico dì un album francamente privo di riempitivi/filler. La voce di Herbie Langhans (alla seconda collaborazione con Gus G), così potente e roca, è un altro elemento caratterizzante di "questi" Firewind: lungi dalle tante "sirene" con timbrica da eunuchi, il frontman tedesco ci ricorda infatti che l'heavy metal sarebbe roba "seria", da maneggiare col cuore e coi coglioni. Quella sua timbrica vintage, che fa tanto anni 80, rappresenta sicuramente un elemento vincente di "Stand United". Intendiamoci bene: se è innovazione che cercate, la troverete presso altri lidi artistici. Qui, al massimo, si registrano sconfinamenti in lande hard rock ("Come Undone" e "Days Of Grace"), oppure tendenze verso spiccate pulsioni melodiche ("Chains"), ma il timone viene costantemente tenuto "a dritta", direzione power. È un male? Non necessariamente. Perché se risulta innegabile come l'effetto sorpresa non svolga un ruolo di primaria importanza, difficilmente si potrà mettere in discussione il senso di piacevole "deja-vu" che i Firewind riescono ad evocare.
ALESSANDRO ARIATTI
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