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SABBAT "HYSTORY OF A TIME TO COME" (1988)



A volte la pubblicità uccide, specialmente se è ingannevole. Succede agli inglesi Sabbat, strombazzati newcomers da parte della stampa specializzata anglosassone che, come al solito, pecca di sfacciata parzialità. Dopo la diffusione del demotape di tre brani "Fragments Of A Time Forgotten", divenuto oggi preziosa merce di scambio per collezionisti, i giornalisti metal sotto la Regina se ne escono con proclami che definire allucinanti è pure poco. "Sono i nuovi Iron Maiden" titolano a caratteri cubitali, in un imbarazzante delirio di onnipotenza. La celeberrima etichetta tedesca Noise Records, autentica fucina di indimenticabili capolavori nei favolosi anni 80, che ricorderemo sempre con il più profondo affetto e con una gratitudine quasi religiosa, non si fa scappare "l'affare", e scrittura i Sabbat in un battibaleno.

L'attesa per il disco d'esordio è febbrile: internet, social e canali di intrattenimento vari sono ancora un delirio fantascientifico nella mente di geniali visionari come i Voivod. Nessuno, a parte i fortunati possessori del demotape succitato, hanno mai ascoltato una nota di questo quartetto che, sulla carta, dovrebbe sconvolgere la mappa artistica del mondo heavy metal, disegnando nuovi, suggestivi scorci, ed impostando paradigmi di inedita creatività. Eppure, quando finalmente esce "History Of A Time To Come", i sorrisi diventano smorfie, l'ansia da prestazione si trasforma in routine, e ci si ritrova a maledire i media della terra d'Albione per la loro incompetenza. Per non dire malafede. Intendiamoci, il disco d'esordio dei Sabbat è un gran bel lavoro, a tratti ottimo, ma parlare di un gruppo che avrebbe sconvolto certe dinamiche al pari degli Iron Maiden, sembra immediatamente un'affermazione folle.

La colpa non è certo di Martin Walkyer (voce), Andy Sneap (chitarra), Frazer Craske (basso) e Simon Negus (batteria): la band fa il suo, e pure in modo egregio, tuttavia non si sente il minimo segnale di innovazione in un album che sostanzialmente cita a ripetizione Venom e Mercyful Fate. Quale sarebbe il tratto distintivo di "History Of A Time To Come" che dovrebbe farcelo ricordare al pari di un novello "Killers"? Misteri rimasti inespressi nell'inchiostro delle penne britanniche.

Se invece parliamo del disco in sé e per sé, al di là delle sparate nazionalistiche, nessuno può mettere in dubbio l'efficacia di una song come "A Cautionary Tale" ispirata al Faust di Johan Wolfgang Von Gothe, spietata opener ai limiti del black metal che i Darkthrone odierni pagherebbero per riuscire a comporre. Oppure di una "Hosanna In Excelsis", narrata a mo' di poema dannato nelle strofe, e trascinante inno thrash nel rauco refrain. I cambi di tempo all'interno della stessa canzone sono sicuramente una carta che i Sabbat si giocano con astuzia e perizia, ma non dimentichiamo che due anni prima toccò ad un certo "Master Of Puppets" sconvolgere i dogmi del metal tradizionale. E che, proprio nel 1988, è la volta di "And Justice For All". Nulla per cui strapparsi i capelli, quindi, ma anche nulla da disprezzare, se non per lo spropositato comitato d'accoglienza da parte dei sudditi di Sua Maestà. "Horned Is The Hunter", ad esempio, è una roccaforte heavy di notevole spessore, con quel riff centrale che invita, anzi intima, a sbattere la capoccia in un furioso headbanging. Le lyrics vergate da Martin Walkyer rappresentano forse l'input più distintivo di "History Of A Time To Come", chilometrici papiri che toccano svariati temi, quasi sempre legati all'occulto, vedi "Behind The Crooked Cross", che indaga sul legame nemmeno tanto nascosto tra nazismo e magia nera. Oppure "For Those Who Died", episodio black/thrash dedicato alle streghe bruciate sul rogo ed accusate dalla Santa Inquisizione di essere "in league with Satan". Il suono è un pò confuso, in particolare viene sacrificata una sezione ritmica ai limiti del percepibile, in favore delle parti vocali e della chitarra, indiscutibili attori protagonisti del proscenio. Probabilmente non da Oscar, ma neppure da Razzie Awards. Future star come Cradle Of Filth e Dimmu Borgir citeranno spesso i Sabbat come una delle loro influenze principali, soprattutto per un approccio al microfono più prossimo alla narrazione che non al canto vero e proprio. Caratteristica che diverrà preponderante, anche nei confronti dell'aspetto musicale, sul secondo 33 giri "Dreamweaver", dopo il quale le strade di Walkyer e del gruppo si divideranno.

Il frontman insisterà sul versante "politico" con gli Skyclad, i Sabbat alleggeriranno il menù, virando verso un techno thrash di discreta fattura col loro canto del cigno "Mourning Has Broken". Il nuovo vocalist, Richie Desmond, verrà descritto dai pennivendoli al di là della Manica come un nuovo Ronnie James Dio: non sto a raccontarvi la sequela delle conseguenti pernacchie.


ALESSANDRO ARIATTI








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