Dal punto di vista "giornalistico" (virgolette d'obbligo), credo di essere stato un uomo fortunato. Ultimamente leggo cose deliranti da parte di qualche frustrato da tastiera che "avrebbe voluto esserci", ma che all'epoca nessuno si è mai filato di striscio. Roba tipo che gli scribacchini di una volta potevano vantare chissà quali privilegi ed amenità simili. Cazzate che solo l'ignoranza dei social può bersi, fino all'ultima goccia di falsità. Io ricordo tante trasferte a Milano, tante telefonate negli USA (quando costavano un occhio della testa), puntualmente mai rimborsate dall'editore di turno. Personaggi scaltri che vivevano sulla passione dei collaboratori per confezionare, possibilmente, un buon prodotto. Il tutto a costo quasi zero, al netto di quelli di stampa, distribuzione, ed un riconoscimento economico molto saltuario. Perché, dunque, mi definisco "fortunato"? Semplicemente perché, grazie a questa passione (ancora questa parola!), ho avuto la possibilità di conoscere ed incontrare molti dei miei "miti" musicali. È l'agosto del 1996, quando il magazine per cui scrivo mi propone un'intervista telefonica con Ronnie James Dio. Quando sento la sua inconfondibile voce al di là della linea, gli dico immediatamente di scusare l'eventuale emozione nel parlare con lui, che potrebbe compromettere la professionalità della chiacchierata. Ronnie, evidentemente abituato ad essere "spremuto" più da fans che da giornalisti veri e propri, mi dice di non preoccuparmi. Aggiunge anzi che si sente onorato di parlare con qualcuno che segue la sua carriera da così tanti anni. Parole di circostanza, me ne rendo conto, ma a 27 anni ti sembra di toccare il cielo con un dito. Non basta: circa un mese dopo, Audioglobe organizza un incontro "face to face" in un prestigioso hotel milanese, per la promozione del suo nuovo album "Angry Machines". Ennesimo viaggio nel capoluogo lombardo, col cuore in gola ma anche con taccuino e penna pronti a "colpire". Incontrare di persona l'autore di alcuni dei miei dischi preferiti di sempre è un'emozione incredibile, ma l'accoglienza si rivela talmente gioviale da sfiorare il surreale.
Tutto procede per il verso giusto, anche grazie alla presenza dell'immancabile moglie/manager Wendy, ma mi permetto di fargli qualche appunto sul suono e sullo stile di "Angry Machines". Ronnie ci pensa un pò, e risponde: "questo è ciò che sento di fare oggi, però apprezzo la sincerità della tua domanda". Finita qui? Nemmeno per sogno. Qualche anno dopo, il cantante americano torna a Milano per presentare il disco "Magica", ed ovviamente non mi faccio scappare l'occasione di incontrarlo di nuovo. Dopo i saluti di turno, lui dice a bruciapelo: "mi ricordo di te, ed avevi perfettamente ragione, perché 'Angry Machines' non era un album adatto ai Dio". L'intervista scorre piacevole ed amichevole per quasi un'oretta, ma nella testa mi rimbombano quelle parole appena pronunciate. Possibile che un'artista di simile levatura, che ha letteralmente scritto la Storia del metal, si "abbassi" a livello di un fan/giornalista (sempre con le virgolette)? Liberi di non credermi: effettivamente, a 24 anni di distanza, dubito ancora che sia successo veramente. Per fortuna custodisco quella vecchia registrazione sulla cassettina, come testimone inequivocabile. Ciao Ronnie, che l'Arcobaleno possa esaudire tutti i tuoi sogni.
Commenti
Posta un commento