Semmai esistesse qualcuno che sognasse dei Bad Company in versione hair metal, non credo vi sia nessuno più dei primi Tangier che ne possa incarnare l’essenza. La band di Paul Rodgers, Mick Ralphs e Simon Kirke, sull’onda del successo mondiale di “Can’t Get Enough”, pluripremiato ed universalmente teletrasmesso singolo da spot pubblicitario, ha sempre riscosso maggior successo negli States che in Europa. Il piglio radiofonico del debutto omonimo, di “Straight Shooter” o “Run With The Pack” sottendono ai gusti americani più che a quelli del Vecchio Continente, ancora legati alla patina blues dei Free di un “Tons Of Sobs” o di un “Fire And Water”. Non si può dare torto né agli uni né tanto meno agli altri: trattasi di eccellenze più dissimili nella forma che nella sostanza, ma questi sono discorsi che solo i reali intenditori possono carpire. Gli stessi Bad Company di quegli anni innescano una serie di album più vicini ai Foreigner che non a sé stessi, e se l’accusa di “spersonalizzazione” può avere qualche fondamento, la qualità di un “Fame And Fortune” o di un “Dangerous Age” (col cantante Brian Howe al posto di Rodgers) non possono essere messi in discussione da nessuno. Non sorprende quindi che, nel 1989, esca questo spaccato da luna piena nel deserto, con vortici polverosi che si intitolano “Mississipi” (primo singolo dal taglio spiccatamente hard blues), “Southbound Train” o “Fever For Gold”. La title-track sembra ricalcare i saliscendi emozionali di “Bad Company” (la canzone), col cantante Bill Mattson a definirne le tonalità in modo esplosivo, ma ci sono altre “palle di fuoco” come “Bad Girl” e “Good Lovin” che determinano la propensione dei Tangier a spingere a tavoletta nel braciere del rock duro. Il cambio di voce non porterà benefici alla band, ed il successivo “Stranded” risulterà molto più standard oriented rispetto a Cinderella e compagnia colorata. Peccato.
ALESSANDRO ARIATTI

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