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BLOOD INCANTATION "ABSOLUTE ELSEWHERE" (2024)

Esistono fortunatamente ancora band che, pur partendo da "canovacci" artistici già noti ed esplorati, non si accontentano dell'ovvio. Gli statunitensi Blood Incantation fanno sicuramente parte di questo sparuto, ma illuminato, schieramento: ed il loro nuovo album "Absolute Elsewhere" ne conferma abbondantemente le ambizioni. Nonostante il successo di "Hidden History Of The Human Race", non abbiamo assistito ad una sua prosecuzione-fotocopia; anzi, il successore "Timewave Zero" era un oltranzista paesaggio ambient dove la cifra estrema veniva completamente messa in disparte. A domanda su come suonerà il nuovo disco, il quartetto americano risponde "come un prog rock anni '70, eseguito da una band death metal dei 90's". Detto così, significa tutto e niente, perché di progettualità ambiziose rimaste solo sulla carta sono pieni gli annali. Non è il caso di "Absolute Elsewhere". Iniziamo dall'impostazione: due brani
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DIO "ANGRY MACHINES" (1996)

Sono tempi duri per gli dei del metallo tonante. La semplicità del grunge ha relegato grandeur ed epicità in un angolino, sostituendole con pragmatica attitudine e spietato groove. Molti eroi degli anni ’80 si trovano quindi davanti ad un bivio: continuare imperterriti per la propria strada, a costo di ritrovarsi a suonare in un cinema parrocchiale, oppure prendere il toro per le corna e cercare di domarlo? Nel caso specifico dei Dio, come fai a parlare ancora di arcobaleni quando ti trovi nell’occhio di un ciclone che sembra non finire mai, mentre all’orizzonte vedi il buio, soltanto un abbacinante, sconfinato buio? Probabilmente è questa la domanda che frulla per la mente di un Ronnie James Dio in balia delle onde del business. Allo stesso tempo la band è tosta e solida, con il fido Vinnie Appice alla batteria, l’ex Dokken Jeff Pilson al basso, il tastierista Scott Warren (che veste più che altro i panni di arrangiatore) e, last but not least, il chitarrista Tracey G. Il contestato T

DAVID GILMOUR E QUELLA STRANA FORTUNA (2024)

Esiste un album rock più atteso, nel 2024, di "Luck And Strange"? Io non credo. Eppure stiamo parlando di un pacato lord inglese di 78 anni, e lasciamo perdere che di nome faccia David e di cognome Gilmour. Lasciamo perdere che fosse parte di un "certo" gruppo chiamato Pink Floyd: gente che, tra la fine dei 60's e l'inizio degli 80's, sconvolse il mondo della musica traformandolo per sempre. Esiste un prima ed un dopo, si dice per "eventi" importanti (e traumatici) della vita: ebbene, lo stesso si può dire nel caso di "The Dark Side Of The Moon", indipendentemente da quale sia il vostro album preferito del gruppo (ognuno ha il proprio). Così come esiste un pre ed un post "The Wall", anche se molti obietteranno che "Animals", in fondo, gli era superiore. Ecco, prendo spunto proprio da quest'ultimo per ricollegarmi ad un magnifico articolo che un noto critico italiano ha riservato all'uscita di "Luck And

LABYRINTH: "IN THE VANISHING ECHOES OF GOODBYE" (2025)

Se quello che stiamo vivendo quotidianamente, ormai da una ventina d'anni, non fosse un fottutissimo "absurd circus"; se esistesse una logica a guidare le scelte della mente umana, divenuta nel frattempo "umanoide"; se insomma non fossimo nel bel mezzo di quel "Pandemonio" anticipato dai Celtic Frost quasi 40 anni fa, i Labyrinth dovrebbero stare sul tetto del mondo metal. Nessuna band del pianeta, tra quelle dedite al power & dintorni, può infatti vantare, neppure lontanamente, una media qualitativa paragonabile ai nostri valorosi alfieri dell'hard'n'heavy. Certo, hanno vissuto il loro momento di fulgore internazionale con "Return To Heaven Denied" (1998), della cui onda lunga ha beneficiato pure il discusso "Sons Of Thunder" (2000) che, ricordiamolo ai non presenti oppure ai finti smemorati, raggiunse la 25esima posizione della classifica italiana. Poi la "festa" terminò, non in senso discografico, perché

PSYCHO MOTEL "STATE OF MIND" (1996)

  Adrian Smith non fa più parte della Iron Maiden family da sette anni, esattamente dopo il tour mondiale di "Seventh Son Of A Seventh Son". Arriviamo al 1995, ma nel frattempo non è che abbia combinato molto, una volta lontano dall'ala protettrice di Steve Harris. Si ok, c'è stato quel "Silver And Gold" firmato come ASAP nel 1989: ma alla brillantezza compositiva non è corrisposto un'adeguato riconoscimento popolare. E se quel disco rincorreva il mito della L.A. da bere, i mid 90's presentano ben altre "icone" sul piedistallo del rock. Soundgarden, Pearl Jam, Alice In Chains ma, avendo comunque seguito il filone, ricordo anche altre entità certamente meno altisonanti eppure altrettanto valorose come Candlebox, Sweet Water, My Sister's Machine. Forse è proprio quest'ultimo il nome maggiormente accostabile al nuovo progetto di Adrian, Psycho Motel, con quel suono ruvido e grezzo, ma allo stesso tempo scevro da certe lagne ciondolanti

AMARCORD: RUSTLESS "SILENT SCREAM" (2010)

Sul blog abbiamo analizzato con dovizia di particolari (spero) ogni capitolo discografico dei Vanadium. Posto il fatto che la carriera solista di Pino Scotto è sotto gli occhi di tutti, mi sembra giusto parlare anche della band che ha riunito tre ex membri della storica band sotto lo stesso tetto: ovvero dei Rustless di Steve Tessarin (chitarra), Ruggero Zanolini (tastiere) e Lio Mascheroni (batteria). In questa occasione vado quindi a recuperare la recensione del loro secondo lavoro da studio "Silent Scream", accompagnato dalla lunga chiacchierata soccorsa proprio con il Maestro Tessarin. E come sempre, buon tuffo nel passato!  RUSTLESS "SILENT SCREAM" (2010)  Rustless, ovvero tre quinti degli indimenticabili Vanadium (per la precisione il chitarrista Steve Tessarin, il tastierista Ruggero Zanolini, ed il batterista Lio Mascheroni), avevano già attirato l’attenzione in occasione dell’esordio “Start From The Past”, album che rivendicava lo storico “marchio” alla luc

AMARCORD: LABYRINTH "RETURN TO HEAVEN DENIED PART II" (2010)

A gennaio 2025 uscirà il nuovo album dei Labyrinth, dopo quel "Welcome To The Absurd Circus" che ci allietò in piena pandemia ad inizio 2021. Il disco mostrava ancora una volta una band in stato di forma eccezionale, ed il preannunciato "In The Vanishing Echoes Of Goodbye" è già stato presentato dal singolo "Welcome Twilight". La song, oltre ad una struttura musicale/melodica da autentici campioni, affronta scottanti temi di attualità, anticipando probabilmente argomentazioni che verranno ulteriormente sviscerate nel corso del disco completo. Per l'occasione, vado a ripescare la mia recensione di "Return To Heaven Denied Part II", che segnò il ritorno nel gruppo di Olaf Thorsen dopo alcuni anni, nonché l'intervista promozionale assieme ad Andrea Cantarelli. Come sempre, buon tuffo nel passato.  LABYRINTH "RETURN TO HEAVEN DENIED PART II" (2010)  Diciamolo chiaramente, senza possibilità di fraintendimenti. I sequel vanno bene al

BRUNO KRALER: ROCK AD ALTA QUOTA

  Non si capisce bene il motivo, ma se la Germania è sempre stata terreno fertile per realtà dedite allo "chic" (hard) rock, l'Austria non ha mai brillato in tal senso. Anzi, praticamente il deserto, nonostante gli incantati paesaggi innevati. Fortunatamente, al di qua delle Alpi, le cose cambiano immediatamente. E radicalmente. Basta arrivare dalle parti di Bolzano, e magicamente ecco comparire un'artista che, da più di trent'anni, porta avanti la sua filosofia artistica a suon di rock & melodia. Il nome è Bruno Kraler, cantante/chitarrista titolare dei Brunorock, band che gli appassionati del genere hanno imparato a conoscere ed apprezzare per la qualità dei prodotti realizzati. Della serie pochi ma buoni: molto buoni, per la verità! Dopo aver militato in gruppi quali Dark Sky e Nightpride, il succitato Kraler decide di fondare un proprio gruppo nel 1994. La formazione è presto completata da Bobby Altvater degli Affair (chitarra), Hogel Schulten (basso) e Do

AMARCORD: DANGER ZONE "LINE OF FIRE" (2011)

In occasione dell'uscita del loro atteso nuovo album "Shut Up!", recupero quanto scrissi ai tempi della release di "Line Of Fire" (2011). Un disco atteso tanto, troppo, ma che rinnovò giustamente l'interesse nei confronti dei Danger Zone. Se oggi si parla ancora di loro, il merito deve essere ascritto a questo lavoro da studio, che può essere giustamente considerato l'inizio dell'era 2.0 del gruppo. Come corollario, potete rileggere anche l'intervista raccolta all'epoca. Buon viaggio nel tempo. DANGER ZONE "LINE OF FIRE" (2011) Per i lettori con tante primavere sulle spalle, "Line Of Fire" è una sorta di miraggio lontano che diventa finalmente realtà. I bolognesi Danger Zone registrarono questo platter alla fine degli anni '80, quando il loro approdo dall'altra parte dell'oceano (sponda L.A.) sembrava essere il preludio ad un successo planetario su vasta scala. Tutto era pronto, l'album si posizionava sulle

AMARCORD: MAGNUM "THE VISITATION" (2011)

Questo nefasto 2024 ha visto la scomparsa di molti "nostri" eroi di gioventù: artisti che ci hanno letteralmente fatto innamorare di un suono, di un genere, e di sposarlo vita natural durante. L'inizio dell'anno ha coinciso non solo con l'uscita di "Here Comes The Rain" dei Magnum, ma soprattutto con il passaggio a miglior vita del suo leader e compositore Tony Clarkin. In questa occasione, vorrei recuperare questo mio articolo che accompagno' l'uscita di un loro album del 2011: quel "The Visitation" che può essere considerato, almeno a mio modesto parere, un capitolo a sé stante dell'ultima fase di una band che ha iniziato la propria avventura nei 70's. Buona lettura e buon tuffo nel passato. I britannici Magnum sono la classica band che non ha mai raccolto quanto seminato. Dischi grandiosi sparsi ormai nell'arco di tre decenni, tra cui autentici capolavori di rock epico come "Chase The Dragon", "On A Storyte