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TANGIER "FOUR WINDS" (1989)

Semmai esistesse qualcuno che sognasse dei Bad Company in versione hair metal, non credo vi sia nessuno più dei primi Tangier che ne possa incarnare l’essenza. La band di Paul Rodgers, Mick Ralphs e Simon Kirke, sull’onda del successo mondiale di “Can’t Get Enough”, pluripremiato ed universalmente teletrasmesso singolo da spot pubblicitario, ha sempre riscosso maggior successo negli States che in Europa. Il piglio radiofonico del debutto omonimo, di “Straight Shooter” o “Run With The Pack” sottendono ai gusti americani più che a quelli del Vecchio Continente, ancora legati alla patina blues dei Free di un “Tons Of Sobs” o di un “Fire And Water”. Non si può dare torto né agli uni né tanto meno agli altri: trattasi di eccellenze più dissimili nella forma che nella sostanza, ma questi sono discorsi che solo i reali intenditori possono carpire. Gli stessi Bad Company di quegli anni innescano una serie di album più vicini ai Foreigner che non a sé stessi, e se l’accusa di “spersonalizzazion...
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ARMORED SAINT 'DELIRIOUS NOMAD" (1985)

Nel 2025 l’heavy metal festeggia 45 anni di onorata presenza sulle tavole dei musicofili. Chi l’avrebbe detto? Praticamente mezzo secolo di chitarre pesanti, ritmiche anfetaminiche, voci squillanti e tutto il “parlamentario” annesso che accompagna solitamente la descrizione sommaria del genere. Personalmente credo infatti che tutto parta da quel 1980 che vede uscire “robetta” tipo il primo Iron Maiden, “Heaven & Hell”, “Blizzard Of Oz”, “British Steel”, “Back In Black”, e chi più ne ha più ne metta. Prima dell’annata in questione, e precedentemente alla divulgazione “urbi et orbi” della NWOBHM, non esiste una “stampa specializzata”, né ufficiale (riviste) né ufficiosa (fanzine). Lo stesso dress code del metal kid, con tanto di chiodo e toppe delle band preferite, è un’usanza che prende piede negli Eighties, non prima. La potenza di fuoco che si sprigiona dall’Inghilterra infetta ben presto anche gli USA, sempre in prima fila nell’adottare tendenze nuove e rimodellarle a proprio uso...

SIGNAL "LOUD & CLEAR" (1989)

1989: anno magico per l’AOR, il class/hair/pop metal. Chiamatelo come volete, tanto ci siamo capiti. Il genere “tira” ancora, eccome; però è come se si avvertisse già all’orizzonte una tempesta che avrebbe fatto scomparire il mondo “felice” e spensierato che aveva favorito lo sviluppo di determinate tendenze stilistiche. Cade il Muro di Berlino, ma i profeti di pace verranno smentiti di lì a poco. L’orso sovietico si sfalda ed il colpo di stato dei nostalgici del 1991 getta il mondo sotto l’ala del terrore, mentre sullo sfondo iniziano i venti incendiari del primo conflitto del Golfo. Non voglio accendere discorsi più grandi del dovuto, in fondo stiamo parlando di musica, ma se è vero che l’arte delle sette note risulta sempre specchio dei tempi (sostengono “quelli bravi”), allora non si fatica a giustificare il crollo di determinate forme di espressione, basate sostanzialmente su edonismo e tanto divertimento. Oltre che da un cristallino talento compositivo tuttora senza eguali. Da qu...

ERIC CLAYTON "A THOUSAND SCARS" (2020)

Esistono artisti con cui, al di là delle preferenze personali, si avverte una sorta di sintonia spirituale e concettuale. Da quando, nel 1993, scoprii i Saviour Machine, non nascondo che Eric Clayton è il personaggio con cui ho instaurato un rapporto di "frequenza" maggiormente profondo. Non solo le sue opere, ma anche interviste (chiacchierate, sarebbe corretto definirle) "formative", quelle esperienze che ti lasciano dentro qualcosa di cui ti ricordi ancora a distanza di 30 anni. Molto più che le dotte conversazioni con altri musicisti che, di questa musica, hanno scritto la storia. Sta tutta lì la connessione che puoi stabilire, quando capisci che esiste l'equazione perfetta tra note, parole e personaggio: ciò che ascolti è esattamente quello che "senti". Molto semplice.  Per questo motivo, anche per sembrare il più attinente possibile alla realtà fattuale, quella che vedete non è la copertina originale di "A Thousand Scars", ma la cosidde...

NOCTURNUS "THE KEY" (1990)

Ci sono album che, pur non perfetti nella forma, gettano le fondamenta per l'evoluzione di un genere. Non mi ricordo chi, forse il grande Heintz Zaccagnini, eppure ricordo ancora le parole sull'articolo di Flash che facevano più o meno così: "I Nocturnus sono uno schiaffo morale a chi pensa che i Morbid Angel suonino techno-thrash". L'anno scorso molti si sono esaltatati, ad esempio, per i Blood Incantation: ebbene non credo che, nonostante siano passati 35 anni da "The Key", un disco come "The Stargate" sarebbe stato possibile senza questa prima fondamentale pietra artistica. Il succitato giornalista di Flash parlò espressamente di Morbid Angel non a caso, ma perché i Nocturnus nascono dal loro primo drummer (e qui pure vocalist) Mike Browning. A completare la formazione Floridiana, i due chitarristi Mike Davis e Sean McNennery, il bassista Jeff Estes, e dulcis in fundo il tastierista Louis Panzer. Forse oggi sembrerà quasi la normalità, ma vi...

GARY MOORE "AFTER THE WAR" (1989)

Reduce dal successo di vendite (e relativo tour di accompagnamento) di "Wild Frontier", Gary Moore si presenta in forma invidiabile nel 1989. Dopo i fasti dei Thin Lizzy, il chitarrista irlandese torna finalmente a veder campeggiare il proprio nome tra le priorità delle riviste specializzate (e non), tanto che "After The War" si candida a diventare una delle priorità dell'annata. Confermatissima l'alleanza con Virgin Records, l'album può contare su uno schieramento di "collaboratori" da paura: Cozy Powell, Bob Daisley, Don Airey, Simon Phillips, Neil Carter. Giusto per limitarsi ai più altisonanti. Senza ovviamente dimenticare la "stella" più brillante, che risponde al nome di Ozzy Osbourne, ospite sul brano "Led Clones". Trattasi di una presa in giro di quegli artisti che, all'epoca (andavano molto di moda i Kingdom Come), prendevano come punto di riferimento gli Zeppelin, sfiorando il plagio nei contenuti e nella forma...

I CORONER E LA TEORIA DELLA DISSONANZA (2025)

Sono tre decenni abbondanti quelli che separano "Dissonance Theory" dal suo predecessore "Grin". Eppure, se è vero che, all'epoca, i Coroner non hanno mai valicato il confine di "band da culto", è altrettanto vero che questa reunion è stata una delle più attese da tempo immemore. Sarà perché il terzetto svizzero ha sempre contato su uno sparuto (ma fedelissimo) seguito di appassionati ai limiti del fanatismo; sarà perché il loro tipo di musica sembra, per definizione stessa, un'affare "elitario". Sarà anche perché molti gruppi li citano apertamente (nelle dichiarazioni) o nei fatti (gli album) come imprescindibile fonte d'ispirazione, ma l'attesa per questo disco era veramente palpabile. Conoscendoli fin dai tempi di "R.I.P.", ero praticamente certo almeno di una cosa: non sarebbe stato un comeback banale, né tanto meno risaputo. Ed infatti, così è. La copertina, con quella banda nera verticale, che ricorda sia l'ori...

"STEELBOUND": IL RITORNO AL FUTURO DEI BATTLE BEAST

Forse chi non ha vissuto gli 80's non se ne rende conto, ma Battle Beast sono molto (moooolto) di più del tipico "rigurgito" nostalgico di quel periodo. Tra richiami ad antiche alchimie (la sedicente NWOTHM), riproposizioni in "stile povero" di determinati suoni (la stragrande maggioranza del melodic rock/AOR), si è persa la sapienza compositiva di quel cocktail unico. I Battle Beast, album dopo album, e soprattutto con l'ingresso in formazione di quel fenomeno chiamato Noora Louhimo, hanno notevolmente ampliato il raggio d'azione, inglobando caratteristiche peculiari di quell'epoca con la massima naturalezza. Puoi farlo, certo, ma soltanto quando hai una front(wo)man che ti permette praticamente qualsiasi cosa ti passi per la mente. "Steelbound" è il settimo disco da studio, ed ovviamente la malizia compositiva si è affinata in modo importante: sembra incredibile che la stessa Noora abbia dichiarato in tempi non sospetti "prima dei Ba...

OLIVA "RAISE THE CURTAIN" (2013)

Non vorrei che, attendendo finalmente news discografiche firmate Savatage, si dimenticasse quanto di buono attualmente lasciato in eredità da Jon Oliva. Se non vado errato, "Raise The Curtain" è l'ultima prova da studio che lo vede impegnato su materiale inedito, e francamente dispiace che né i Pain né questa sua prima irruzione in territorio solista abbiano lasciato il segno come avrebbero, a mio parere, meritato. Dice Jim Morris, peraltro presente in veste di chitarrista/produttore sull'album in questione: "la linea più sottile tra Genio e Follia è determinata dalla differenza tra lato destro e sinistro del cervello di Jon". Penso che nessuna affermazione sia più esplicativa di questa per descrivere la grandezza artistica del personaggio, spesso figlia di una foga autodistruttiva talmente urgente da risultare palese.  È un mood particolare, che solo chi riesce a percepire veramente le sfumature delle sue composizioni, può assimilare in pieno. "Io e Cr...

METALLO URLANTE: I PROBOT DI DAVE GROHL

Se esiste un genere che, al metallaro medio degli 80’s, sta prosaicamente sul culo, quello è sicuramente il grunge con tutti gli annessi e connessi. Ben più della dance, ben più della new wave o del synth pop, con i quali si era instaurata una convivenza tutto sommato pacifica e/o alternativa. Il famoso/famigerato Seattle sound si propone infatti come “sostituzione demografica”, oltre che stilistica, rispetto all’hard’n’heavy comunemente conosciuto fino a qualche primavera precedente. Anche solo il rimpiazzo dell’uniforme denim & leather, con divise d’ordinanza da straccioni trasandati, veniva considerato quale esercizio di “lesa maestà”, o semplicemente appropriazione indebita. E lo scrive uno che, del look, se n’è sempre sbattuto bellamente i coglioni: cuoio, capelli lunghi e magliette da funerale incluse. Il giochetto funziona più negli States che in Europa, sinceramente: perché se è vero che i Nirvana conquistano le vette delle charts anche nel vecchio continente, il merito non...