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Visualizzazione dei post da settembre, 2024

VAN HALEN "1984" (1984)

Con tutto il rispetto per George Orwell e per le sue nefaste profezie nazi-tecnocratiche, brutalmente manifestatesi durante i criminali anni della "pandemenza", avremmo preferito continuare ad identificare volentieri "1984" come un successo clamoroso dei Van Halen. Non come un tomo prodromo dell'attuale miseria umana, scandita a suon di diktat, ricatti, informazione ridotta a propaganda, soprattutto grazie ad un gregge di ebeti pronto a bersi qualsiasi cazzata. Tutti conoscono Eddie Van Halen come innovatore della chitarra, colui che ha stravolto il suono hard rock dei Seventies per farlo diventare punto di riferimento obbligatorio degli Eighties. Con tutto il suo conseguente carico di istrionismo, tecnica straordinaria ed estetica musicale annessa. Pochi, invece, valorizzano il suo ruolo nello sdoganamento totale dei sintetizzatori, strumento "trendy" dell'epoca, ma che viene visto da molti "metalhead" come fumo negli occhi. Provate a ca

ARTENSION "PHOENIX RISING" (1997)

La Shrapnel Records è sempre stata l'etichetta specializzata e specializzanda in fenomeni dello strumento. Prevalentemente "electric guitar". Negli anni 80, al capo supremo della label, Mike Varney, va ascritto il merito indiscutibile di aver lanciato sulla scena autentici "draghi" della tecnica. Il più noto, ovviamente, risponde al nome di Yngwie Malmsteen, ma la lista sarebbe lunga, lunghissima. Mi limito ai più meritevoli: Vinnie Moore, Paul Gilbert, Jason Becker, Marty Friedman, Richie Kotzen, Tony MacAlpine. Vi bastano? Ebbene, la decade successiva è un "different animal", per utilizzare un'espressione tipicamente americana. I virtuosi della sei corde sono in crisi profonda, soppiantati dal grunge mood, per il quale meno si studia meglio è. In tal modo, il rock'n'roll tornerebbe al suo spirito primordiale e genuino. Dicono loro, ovviamente. Guai se ci si perde in assoli prolungati o articolati. Peccato mortale: pena, l'inferno del

PINK FLOYD "THE FINAL CUT" (1983)

Cominciamo innanzitutto dicendo cosa NON È "The Final Cut". 1) Non è un disco dei Pink Floyd: i crediti in copertina dicono infatti chiaramente "music & lyrics by Roger Waters performed by Pink Floyd". David Gilmour e Nick Mason (Richard Wright è già fuori da qualche anno per dissapori con Waters) ridotti al rango di "special guests", con gli assoli di chitarra del primo che si possono contare sulle dita di una mano. 2) Non è assolutamente un disco rock, ma una sorta di piece teatrale/recitativa di Waters, a cui manca terribilmente il lato visivo per renderlo completo. A dire il vero, uscì una VHS a tema con alcuni brani del disco, ma nulla a confronto dell'allucinante/allucinato film di Alan Parker tratto da "The Wall". Bene, una volta chiarito cosa NON è "The Final Cut", si può cominciare a delinearne i tratti distintivi. Waters perde il padre in tenerissima età nella seconda guerra mondiale, proprio in Italia durante il famos

THE BLACK CROWES "THE SOUTHERN HARMONY AND MUSICAL COMPANION" (1992)

Dal detto al fatto, anno 1990, The Black Crowes diventano il nuovo fenomeno di esportazione statunitense. Il grande successo del loro esordio "Shake Your Moneymaker", 5 milioni di copie sparse per il pianeta, certifica l'ennesima scommessa vinta anche da parte di Rick Rubin e della sua etichetta (Def American). Il produttore/discografico, da gran volpone qual è, già pregusta il ritorno ad una forma estetica di rock più sanguigna e meno legata all'hair metal, trend che sarebbe poi diventato il leit motiv degli anni a seguire. Dopo essersi agganciati al carrozzone itinerante del Monsters Of Rock 1991, assieme ad AC/DC, Metallica e Queensryche, che fa tappa anche a Modena nel mese di settembre, la reputazione della band di Atlanta è destinata ad un ulteriore rialzo di quotazioni. Tutto ciò nonostante molti avanzino dubbi sulla collocazione dei Corvi Neri in un contesto prettamente metal. Poco importa, l'ammirazione trasversale di cui godono i fratelli Robinson (Chris

SAXON "SOLID BALL OF ROCK" (1990)

Sembra impossibile da credere oggi, con il perpetuo revival del metal 80's, tuttavia posso assicurare che, nel 1991, dei Saxon non fregava più nulla a nessuno. "Solid Ball Of Rock" esce a più di tre anni di distanza da "Destiny", sicuramente l'album più "american oriented" mai registrato da Byff Byford e soci, quando il clima sembra francamente ostile per i reduci della NWOBHM. Grande mossa da parte del gruppo inglese è sicuramente quella di individuare una comfort zone geografica, situata esattamente nella tradizionalista Germania, tanto da assoldare Kalle Trap (Blind Guardian) per la produzione del disco. Non è un mistero per nessuno il fatto che la terra tedesca abbia letteralmente tenuto in piedi la band, con vendite sempre soddisfacenti e tour importanti. Alla faccia di altri mercati "trendisti" dell'epoca, che sembrano invece accodarsi all'idiozia yankee. Ricordo perfettamente che, nel corso degli anni 90, fui io stesso ad i

"FOR YOU": IN MEMORIA DI JACK RUSSELL

Sono gli anni in cui il "party è finito", quando è ora di raccogliere i cocci, le bottiglie vuote, ed i mozziconi di sigaretta. Dopo gli eccessi degli Eighties, già nel decennio successivo tutto ciò che viene identificato con "quel" momento storico viene messo sotto il tappeto come la polvere in eccesso. Scelta del pubblico? Ovviamente no, strategie di mercato studiate dall'alto. Tanto è vero che oggi, a distanza di 40 anni, le canzoni e gli eroi dell'epoca vengono trangugiati avidamente come preziosa acqua in quel deserto che è diventato attualmente il mondo rock/hard rock. Tra i fortunati, ma non fortunatissimi (almeno rispetto alla qualità) esponenti dei fasti ottantiani, ci sono sicuramente i Great White, autori di album letteralmente sensazionali come "Shot In The Dark" e l'accoppiata "Once Bitten"/"Twice Shy". Il loro cantante, Jack Russell, resta ancora oggi una delle voci più armoniose e caratterizzanti della scena,

FASTWAY "WAITIN' FOR THE ROAR" (1986)

Insoddisfatti delle scelte artistiche delle proprie band d'origine, rispettivamente Motorhead ed UFO, Fast Eddie Clark e Pete Way decidono di unire le forze per una nuova sfida. Il nome del gruppo deriva dall'unione dei due protagonisti, ovvero Fastway, e le premesse per "spaccare" di brutto ci sono tutte. Del resto, i due avevano avuto modo di frequentarsi in occasione della registrazione di "Under The Blade" dei Twisted Sister, in cui Way svolse il ruolo di produttore, e Clark apparve come ospite d'onore. Nonostante le rosee premesse, Pete Way abbandona il gruppo addirittura prima dell'uscita del primo ed omonimo album (fonderà i Waysted), che però vende decisamente bene, raggiungendo il tetto delle 500.000 copie vendute. La proposta dei Fastway è all'insegna di un hard rock palesemente blueseggiato, formula che viene ripresentata anche in occasione del secondo lavoro "All Fired Up". Il disco non ripete il consenso commerciale dell

ANDI DERIS "COME IN FROM THE RAIN" (1997)

Comunque la si pensi sulla disputa "meglio Andi Deris o meglio Michael Kiske", al primo va l'indubbio merito di avere resuscitato una band di potenziali cadaveri ambulanti. Questa risulta infatti la non invidiabile situazione degli Helloween nel post "Chameleon" (1993): poi, che il succitato album non sia assolutamente quel disastro per cui viene consegnato alla storia, è tutto un altro discorso. Quando il popolo sovrano decreta il proprio pollice verso, non c'è ragione che tenga: bisogna prenderne atto e voltare pagina. Ed anche il più rapidamente possibile. Questo fanno gli Helloween, pubblicando l'album della ritrovata coerenza "Master Of The Rings" prima (1994), ed il disco della rinnovata popolarità "Time Of The Oath" poi (1996). In tre soli anni, dalle stalle nuovamente alle stelle, col merito che appare quasi totalmente ascrivibile al biondo ex cantante dei Pink Cream 69. Il suo talento compositivo, estremamente versatile in og